Le origini della DADGAD

Tra le accordature alternative la DADGAD è senz’altro la più celebrata e la più usata, tanto da diventare una valida alternativa all’accordatura standard per molti chitarristi; basti pensare a Pierre Bensusan, che ne ha fatto il suo marchio di fabbrica.

Usata prevalentemente nell’ambito della cosiddetta musica celtica, ma più propriamente di area anglo-scoto-irlandese, la DADGAD riserva delle piacevoli sorprese anche in altri contesti e in tonalità diverse da quelle più comunemente usate con questa accordatura, cioè RE e SOL.

Basti pensare all’utilizzo che ne fa il chitarrista inglese, ma ormai americano d’adozione, Laurence Juber, che la impiega in molti suoi brani originali, in arrangiamenti dei brani dei Beatles e in tonalità in apparenza “scomode” per questa accordatura.

La sua invenzione si deve a Davey Graham, uno dei maestri della chitarra acustica fingerstyle. Nato nel 1940 e scomparso nel 2008, Graham elabora la DADGAD dopo un viaggio in Marocco e l’ascolto dei suonatori di oud, strumento a corde proveniente dall’area arabo-islamica.

A tale proposito vale la pena di riportare quanto afferma Martin Carthy, altro grande chitarrista acustico inglese, in un bel volume dedicato a Bert Jansch, Dazzling Stranger, Bert Jansch and the british folk and blues revival di Colin Harper (Bloomsbury, Londra, 2000).

“Incontrai un gruppo di musica tradizionale proveniente dalla Università di Harvard, i Charles River Holy  Boys nel 1961 o ’62 – racconta Carthy – ed elaborai un’accordatura molto vicina alla DADGAD: DGDGAD.

Con questa accordatura provai ad accompagnare un particolare brano del gruppo e sembrava che funzionasse, anche se alla fine non si rivelò molto adatta. Ricordo di aver mostrato questa accordatura a Davey e un po’ di tempo dopo lui se ne venne fuori con la sua DADGAD.

Con questo non voglio rivendicare nessun merito. Non so se quel che gli mostrai abbia avuto in effetti qualcosa a che fare con tutto ciò. Davey Graham era Davey Graham. Quando inventò la DADGAD fu il momento in cui la vita diventò interessante.”

Stefano Donati